THE DAY BEFORE – È davvero l’ora di preparare la Cinelli Geo per questo Trail che promette di mettere alla prova tutti sviluppandosi per duecento chilometri disseminati di parti sterrate e limacciose, sentiero pieni di foglie, salite con rampe fino al 30% e parti di sentiero dove sarà necessario caricare in spalla la bici.
Comincio innanzitutto a sostituire il forcellino che sorregge il cambio che ho rotto ormai settimane fa alla Delta Gravel. La Francesca me ne ha fatti recapitare un paio, in modo che possa avere un ricambio in caso si ripresentasse la situazione. In cinque minuti il lavoro è fatto è una dose di Loctite farà in modo che le due vitine che reggono l’hanger non si svitino.
Per l’organizzazione mi affido a Cento e Nicola, gli organizzatori dell’evento: appassionati ciclisti e da poco anche vicini di casa. Sarò ospite da Cento assieme ad altri tre sia per la notte di venerdì che per quella di sabato. Sapere dove dormirò mi dà già una buona dose di tranquillità, fondamentale quando durante la gara sarò completamente fuori dalla mia zona di comfort: infatti pioverà per le prime ore e sarà necessario attrezzarsi di conseguenza.
Io preparo due bagagli contenuti nelle tre borse: la piccola top tube Ibera per gli attrezzi, la frame bag estensibile Roswheel per due camere d’aria, la mini floor pump della Lezine, il kit toppe e l’hanger di riserva. Mi porto una seconda boccetta d’olio perchè tra la pioggia e le parti fuoristrada potrei ritrovarmi con una catena slavata ed inefficiente. Nella sacca sotto sella Miss Grape invece metto il materiale che lascerò a casa di Cento: il materassino ed il sacco a pelo, un cambio completo ed i vestiti di cotone oltre al kit da bagno standard corredato da asciugamano.
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Al momento di uscire qua a Bazzano ha già cominciato a piovere e decido di prendere la linea ferroviaria locale per raggiungere la stazione di Bologna ma un ritardo mi costringe a prendere il treno successivo, lasciandomi un’ora in stazione a Bologna ed un’ora a Mestre…
Arrivo a Treviso e sotto una pioggia tanto sottile quanto inutile mi dirigo verso la pizzeria dove ho appuntamento con gli altri, si chiacchiera fino a tarda ora aspettando l’ultima ospite da Milano, poi ci separiamo per raggiungere gli appartamenti. Non son mai stato a casa di Cento e da subito mi rendo conto di ritrovarmi nella tana di un appassionato artista, al’ingresso c’è fra le altre la sua Open, quella bicicletta che ho notato fra tant’è alla portanza della prima Transcontinental Race, quando mi sono ritrovato a lato di quel tipo strano con i denti sbeccati e gli avevo chiesto se il telaio così decorato fosse stata opera sua, abbiamo chiacchierato un bel pezzo prima di renderci conto che eravamo italiani tutti e due. A distanza di giorni ci saremmo incontrati nuovamente a Kosice in Slovacchia: lui in procinto di lasciare la gara a causa di un infortunio ad un tendine, io evidentemente ubriaco, ma questa è un’altra storia.
Cento è famoso per le sue grafiche fitte e spaziate regolarmente, realizzate a mano in pezzi unici, recentemente sono stato molto orgoglioso del nostro artista a quando ho ritrovato una sua grafica a decorare il casco di un atleta di spessore internazionale in gara alla Red Hook Criterium di Milano. Sulle pareti e sugli scaffali sono assiepate un’infinità di articoli da disegno, bombolette, pennarelli e i mille dimensioni e colori, la sua collezione di Snoopy e alle pareti tavole da skateboard una in fila all’altra si alternano a pannelli raffiguranti il famoso cane dalle orecchie a punta spesso presente nelle sue opere.
Gonfio il materassino ed in pochi minuti sono già dentro il sacco a pelo a dormire, ormai è tardissimo e nel giro di poche ore ci dovremo svegliare e preparare in tutta fretta per portarci alla partenza a dieci chilometri da Treviso.
THE RACE DAY – Come spesso mi accade in questi casi, mi sveglio a pochi minuti dall’ora impostata sul telefono, non so come sia possibile questo fenomeno ma tant’è che capita spesso.
Cento sta già preparando assieme a Federico i cartoni da portare alla partenza ed io e Nadia ci prepariamo con un po’ più di calma dato che arriveremo in un secondo momento al bar Otto, luogo di registrazione e di arrivo ma soprattutto l’esercizio gestito dai genitori di Cento.
Il trasferimento è rapido, Nicola abita proprio di fronte a Cento, nello stesso cortile, carico la bici intera nel baule ed in men che non si dica siamo partiti ed arrivati a Villorba.
Dentro al bar ci offrono caffè e croissant, fuori pioviggina, meno di quanto ci aspettassimo ma piove e ci prepariamo con tutto l’abbigliamento impermeabile. Uno alla volta arrivano anche gli altri partecipanti: ci sono i tre incontrati al TigerCross, Andrea il friulano, Marco il brianzolo con una bici tutta colorata a bomboletta in tinte pastello sfumate e schizzate, Giacomo che non ha la KarateMonkey ma una ben più svelta Exploro. Fra le bici belle c’è anche la FRM Carbon-kevlar di Giovanni ed è proprio con lui che parto verso le 6 del mattino sotto una pioggia che continua ad aumentare.
Nel giro di pochi minuti ci sono dietro Marco ed Andrea da Venezia e quando salta fuori l’argomento TCR questo mi confessa che quest’anno tenterà anche lui di essere ammesso a partecipare all’edizione 2019, mi fa un po’ di domande e procediamo tra asfalto, argine, sassi e fango sdrucciolevole.
Al primo metro di portage su fango in discesa scivolo rovinosamente sul lato sinistro e subito riemerge la contrattura intercostale, conseguenza del’incidente occorso a Torino alla PreCum alleycat ormai un mese prima. Arrivo a valle e decidiamo di prenderci una pausa per strizzare i calzini bagnati, mi ero attrezzato con i calzettoni impermeabili della SealSkin ma a quanto pare l’effetto ottenuto è stato che l’acqua invece di rimanere all’esterno dello strato impermeabile resta intrappolata dallo stesso e quando mi sfilo il primo calzino esce una quantità impressionante d’acqua, tiepida ma non l’ideale a farmi compagnia per i successivi 170 chilometri. Mentre siamo in strizzatoio e svuotamento ci superano Sebastiano ed Ausilia, una coppia di ferro, lui in single speed ed entrambi con tanta esperienza da fare invidia a molti sedicenti ultracycler della scena odierna.
Li lasciamo andare e ripartiamo a passo moderato a causa della pioggia che non sembra darci tregua.
Arrivano le prime colline e alla prima salita su foglie bagnate mi rendo subito conto che non ho trazione al posteriore, la gomma è troppo consumata e slitta se non regolo la pressione sui pedali. Per fortuna riesco a tenere il passo degli altri tre nonostante appena la situazione si fa più tecnica li vedo allontanarsi, riesco a recuperarli nei tratti pianeggianti o asfaltati.
TOMBINO
La traccia che ci hanno fornito è precisissima e noi seguiamo Marco che non sbaglia una curva guidandoci tra sentieri e vigneti.
In cima ad una collina troviamo di nuovo Sebastiano ed Ausilia bloccati per un problema tecnico: un ramo ha strappato via il deragliato re posteriore ed ormai non resta altro da fare che metterselo in tasca, accorciare la catena e ripartire in single speed, del resto lui è già a singola velocità e lei è una leggenda della mountain bike single speed.
Li salutiamo sorridenti, del resto con tutta l’esperienza che hanno è possibile che ci raggiungano più avanti lungo il cammino nonostante l’inconveniente.
Giù da una discesa un signore si sbraccia e ci saluta, non lo riconosco senza casco e senza la sua bicicletta verde smeraldo, è il Griso, che non può essere dei nostri oggi ma ci ha tenuto comunque a presentarsi per un saluto lungo il percorso.
Le salite si alternano a discese sempre più ripide ed io mi rendo conto che tendo ad usare sempre più il freno anteriore di conseguenza al fatto che il posteriore nonostante le ulteriori regolazioni in corsa tende comunque a non reagire a dovere. Arriviamo al primo check point al settantesimo chilometro che ormai sono senza freno posteriore ed ipotizzò di aver vetrificato le pastiglie. Dopo un paio di fette di torta ed un bicchiere di aranciata, con le pinze di Marco inverto le pastiglie dei freni, le anteriori con le posteriori, in modo da portare al freno posteriore due pastiglie più efficaci.
CALZINI
Quando ripartiamo sembra che il trucchetto abbia funzionato ma già dopo un paio di discese capisco di stare passando dalla padella alla brace dato che entrambi cominciano a rallentare sempre di meno, mi tocca fare qualche discesa ripida a piedi inseguendo i miei compagni di viaggio che non hanno nessuna intenzione di sprecare preziose energie smontando dalla sella.
Tra una salita senza trazione e una discesa cauta a causa dei freni perdo il gruppo e vengo raggiunto e superato agilmente da Giacomo e Nadia.
Resto solo all’ingresso di un sentiero ricoperto di foglie gialle e marroni ammorbidite dall’umidità ed intrecciate le une con le altre a formare una sorta di tappeto soffice. I bivi si susseguono e per fortuna il navigatore mi assiste e mi guida fra i sentieri invisibili. Salgo e salgo, in sella finchè riesco, poi a piedi spingendo la bici, poi arrampicandomi con la bici in spalla fino in cima alla collina dove perdo definitivamente le tracce di chi mi aveva preceduto. Comincio ad ipotizzare che abbiano preso un qualche bivio errato e che ora stiano vagando per il bosco sottostante alla ricerca della traccia comune.
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Poi il segno di una scarpata che ha spostato le foglie arrivando alla superficie fangosa sottostante mi fa capire che sono sulla strada giusta e nella mia testa si sviluppa la fantasia di un inseguimento lungo i sentieri che percorro al massimo delle mie possibilità nel tentativo di raggiungere il gruppo di testa.
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Poi torno su asfalto e mi butto a capofitto fino a valle, i freni sempre meno efficaci aiutano a non perdere velocità ed anzi mi obbligano a trovare nuove linee più pulite da percorrere per non finire direttamente fuori strada. Agli incroci non riesco nemmeno a fermarmi e tirò dritto a due semafori rossi in mezzo al traffico perpendicolare. Tocca davvero mettere mano ai freni e tentò di regolare gli X-Tech ibridi al meglio che posso, scopro che la leva che aziona il pompante idraulico perde rapidamente la regolazione facendomi ritrovare in quella situazione dove anche tirando le leve a fine corsa l’idraulica non aziona i pistoncini e vado di lungo.
Un breve tratto di strada secondaria e poi una bella salita mi distraggono dal problema che ormai sta determinando una situazione critica, la salita è su asfalto al 30%, in pratica la percorro sbalzando la bicicletta in avanti, frenando su entrambi gli assi ed usando il manubrio come appiglio per fare ogni singolo passo su quella superficie che sembra giaccio sotto i tacchetti delle mie scarpe da mountain Bike che mi hanno accompagnato in mille avventure è mai avevano ceduto su terreno scivoloso.
Alla salita ripidissima segue una discesa altrettanto ripida ed i freni mi lasciano di nuovo costringendomi ad una frenata di emergenza usando la punta della scarpa come ancora sull’asfalto per fermarmi prima di ribaltarmi oltre un guardrail giù da una scarpata.
La gara è finita, non mi resta altro che trascinarmi fino alla fine del percorso è quantomeno completare la traccia.
Di raggiungere gli altri non se ne parla proprio e cambio registro, da desideroso di rimanere col gruppo passo a godermi i panorami, ha smesso di piovere e mi fermo per togliermi di dosso gli strati impermeabili che ormai non fanno altro che un effetto sauna. Riparto con uno spirito nuovo dopo un’ulteriore regolazione dei freni,