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Cresco nella terra dei motori, l’Emilia Romagna, nella Bologna delle università ma soprattutto nella città dove i mezzi a motore vengono preparati dietro le serrande dei garage e chiusi nelle cantine per poi correre lungo i vialoni il venerdì sera.
Fra i mille interessi dell’adolescenza ne spicca un, quello per le ruote: otto poi due, quattro e di nuovo due, stimolano l’ingegno nello studio di nuove soluzioni che settimana dopo settimana vengono realizzate e sperimentate.
Dall’università passo all’Istituto Europeo di Design, prima a Torino e poi a Barcellona, l’indirizzo è Industrial Design applicato ai mezzi di trasporto. L’interesse per la modellazione tridimensionale mi porta poi a trasferirmi a Londra per i corsi di specializzazione.
Al rientro in Italia, mi impiego subito in un lavoro d’ufficio per finanziare le mia passioni ed un viaggio in moto che ci avrebbe portato in Persia, ma il posto fisso smorza le velleità d’avventuriero e mi ritrovo nell’ottica dell’attesa delle due settimane di ferie all’anno; poi arrivano le cafe racers, le special su base d’epoca, e torna forte il germe della creatività applicata al mezzo meccanico.
Un incidente nel 2013 mi lascia temporaneamente azzoppato e senza moto, senza la possibilità di camminare mi viene prestata una bici per potermi eventualmente muovere in caso di necessità.
Quella mountain bike Esperia diventa lo strumento della mia libertà e pedalando con una gamba sola mi porta di nuovo fuori casa dopo mesi di reclusione.
Ormai ero conquistato da quella sensazione di poter andare dove volevo nella notte, fuori dagli orari di visita, e dopo quindici anni Bologna torna ad essere il parco giochi che era quando truccavamo i cinquantini in cantina. Comincio a frequentare il Lime bar nelle ultime ore di chiusura ed incontro il primo appassionato di scatto fisso, è stata una folgorazione, serve solo un telaio adatto con i forcellini orizzontali necessari per regolare la tensione della catena, mi ricordo della vecchia Legnano Condorino di mio padre, la trovo in un fienile schiacciata sotto ad una porta blindata, la porto a casa e la pulisco.
Nel frattempo comincio ad andare a lavorare in ufficio, cinque chilometri alla mattina e cinque alla sera nello stupore dei colleghi. Sistemata la Legnano ordino online il mio primo mozzo a scatto fisso, guardo un tutorial su internet e raggio la mia prima ruota, la settimana successiva mi presento al gruppo dei fissati bolognesi, i Gatti randagi, che ogni mercoledì sera si trovano per fare un giretto, parlare di bici e bere una birra.
Con i Gatti Randagi arriva la prima garetta, organizzata proprio a Bologna, un inaspettato settimo posto mi galvanizza e comincio a prenderci gusto. Con quel gruppo inizio anche a spostarmi in altre città per partecipare alle gare dedicate alle bici a scatto fisso, un circuito di nicchia che avvicina gli avversari e li rende amici. Ormai prendere il treno nel week end per raggiungere una città dove correre è diventata una costante, l’ospitalità sempre disponibile e le feste pre e post gara danno modo di legare ed allargare sempre più la rete di conoscenze.
Dai dieci chilometri di commuting al lavoro, alle decine di chilometri delle garette, alzo il tiro quando a Settembre arriva a Milano il circo della Red Hook Criterium, la tappa italiana che conclude il campionato mondiale del circuito criterium, al quale partecipano tutti i mostri sacri dello scatto fisso assieme a sconosciuti o portapizze dell’ultima ora ma con una buona gamba. Decido di pedalare fino a Milano assieme ad un paio di amici, la soddisfazione di aver fatto 250 chilometri tra mattina e pomeriggio mi riempie di orgoglio ed ecco che il seme delle distanze si era assestato.
Comincio ad andare alle gare fuori città direttamente in bici il giorno prima oppure a rientrare a Bologna pedalando il giorno dopo, con la mia compagna d’estate decidiamo di comprare un tandem e fare un viaggio, lo andiamo a prendere in treno a Pescara attrezzati di un portapacchi universale, due borse da turismo ed una tenda da campeggio. In stazione ci consegnano un tandem Bottecchia da corsa trasformato però con due manubri da passeggio, le ruote sottili ed il cambio preciso ci fanno volare fino a Bologna in pochi giorni seguendo la costa, cominciamo subito a pianificare il viaggio successivo verso Barcellona passando per Genova e seguendo poi le coste della Francia.
Fosse dipeso da me non sarei nemmeno tornato in Italia ed avrei continuato a pedalare seguendo la costa, ma gli impegni di lavoro hanno prevalso ed ho dovuto rimandare le mie velleità esplorative ad una occasione futura.
Nel frattanto, causa trasloco, i chilometri percorsi quotidianamente non sono più i cinque più cinque ma sono i trentacinque più trentacinque, situazione che mi garantiscono un buon volume di training seppur tutto pianeggiante.
Nel frattempo il parco bici continua ad ampliarsi ed arriva la nuova “bomba” su base Bianchi mountain bike riadattata in qualcosa di veramente unico che mi permette di allungare ulteriormente le distanze.
Tra una gara e l’altra ho modo di incrociare la mia strada con altri ciclisti delle lunghe distanze e gli occhi mi si illuminano quando trovo un articolo su FixedForum dedicato all’avventura che hanno vissuto Jacopo e Niccolò dal Belgio alla Turchia. Ed ormai sono già come partito per l’evento che cambierà la mia vita, la Transcontinental Race.
Mi ci è voluto un anno per convincermi ad iscrivermi ma è stato più forte di me ed ho fatto richiesta di partecipazione nonostante le scarse possibilità di essere accettato.
In un modo o nell’altro, affrontando mille intoppi sono riuscito ad avere l’OK dall’organizzazione per presentarmi in Belgio alla partenza della gara pronto a percorrere 4.500 chilometri in scatto fisso fino alla Grecia passando prima dall’Italia, poi risalendo fino al confine con la Polonia per poi ridiscendere attraversando la Romania e tutti i paesi che dividevano i vari check point.
È un viaggio avvincente, capace di demolire anche gli animi più vigorosi e le gambe più allenate, gli avversari abbandonano la gara uno dopo l’altro, io arranco superando un confine dopo l’altro tra mille peripezie, non posso mollare, non posso farlo dopo la possibilità che mi è stata data di far parte di questa avventura che tira fuori tutti i miei punti di forza come anche tutti i miei limiti, la determinazione nei momenti di difficoltà ed i mostri che si annidano sotto lo strato di civiltà necessario al vivere nella società civile.
Al rientro dalla gara è chiaro che la direzione che avrebbe preso la mia vita sarebbe stata quella: le lunghe distanze e le avventure che caratterizzano viaggi di questo tipo. Comincio subito a lavorare alla pianificare la successiva edizione della gara, pronto all’iscrizione che ha tardato molti mesi. Questa volta avrei partecipato con una bicicletta con il cambio, una BMC Roadmachine in alluminio.
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Per arrivare pronto alla successiva edizione decido di variare gli eventi ai quali partecipare integrando le alleycat e le velocity con le gravel ed i trail. Ogni occasione è buona per testare e raffinare l’attrezzatura, ogni evento è uno spunto per mettermi alla prova, passando dai boschi fangosi all’asfalto ghiacciato della randonnee del solstizio di inverno.
Ad un mese dalla partenza una crepa nel telaio mi costringe alla ricerca di un mezzo alternativo e vengo soccorso dalla Cinelli, storica azienda italiana che si offre di supportarmi con la Zideco che mi porta a concludere la mia seconda Transcontinental Race.
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Anche questa avventura segna il mio carattere rendendo ormai indelebile il desiderio a spingermi sempre un po’ oltre la curva successiva, fuori dallo stato di comfort alla scoperta di nuove situazioni, luoghi, persone come anche alla ricerca della prossima versione di me stesso.
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